015 - Apostolato - Cardinal Congar

015. Apostolato

1. Tre difficoltà o punti d’arresto con i lontani:

a) Dio, e perché? Amo gli altri meglio che i cristiani.

b) Il vostro è individualismo: ognuno ha cura della propria piccola anima.

c) Una religione che è fuori dell’azione degli uomini nel mondo.

Siamo in un mondo eterogeneo: indifferenti, atei, comunisti.

Come essere cristiani, senza estraniarci dagli altri?

Troppo spesso il cristiano è un isolato: l’Azione Cattolica, azione degli ambienti cristiani, non dei pagani.

Tutte le soluzioni non vanno bene anche se si è assunto un determinato atteggiamento spirituale (“Lo Yogi e il Commissario” di Koestler1). Notre Dame è opera di fede e di geometria.

Bisogna fare incontrare il Dio vivente, il Dio della Rivelazione. (I Greci solo l’uomo, l’India solo Dio, in mezzo Bibbia). È un Dio vivo, un Dio per noi, che si china verso noi. Non si ha mai Dio senza l’uomo, né l’uomo senza Dio. A Teofilo Martire: “Mostrami il tuo Dio. Mostrami il tuo uomo, ed io ti mostrerò il mio Dio”2. Cioè se tu sei un vero uomo, spiritualmente ben disposto ecc...

Teologia chiama antropologia.

Unire Religione e azione, interpretare cristianamente il nostro mondo e il nostro tempo senza abbandonarlo.

Non ridurre la Religione al dogma, al comportamento religioso, a un atteggiamento da conservare o da difendere.

Non la Religione in cui Dio è considerato un termine della preghiera, adorazione, ecc... ma la Fede. Non una parte nella vita, un ordine a parte, ma Fede che rende sacra ogni cosa, che trasforma la storia tutta in Storia Sacra.

Mosè domanda a Dio il suo nome3. Io sarò chi sarò, mi vedrete nella mia azione. Il Dio attivo che si manifesta nelle vicende. Tutto discende da Dio, e Dio è principio. Anche nella mia vita personale. Non è un’immensa coppa d’acqua, ma una sorgente. Egli si comunica, dona (Cfr Ger 2,13; 17,5-8). Le cose esistono, sono buone, vere secondo che ricevono da Dio.

Dio ha un piano sul mondo. Lo ha sull’uomo: Regno di Dio. “Sono venuto cercare ciò che era perduto”4. Unità del mondo per opera dell’amore. Non è un Dio «per sé». L’Assoluto è l’Amore. E conta su di me poiché tocca a me realizzare Dio, non in se stesso, ma nel mondo.

La mia azione deriva dalla Fede; non solo un atto di pietà, non solo la preghiera, ma il lavoro, la vita di famiglia, il voto, ecc... Perché è un irradiamento di Dio. (Quando lavoro male sciupo il tempo del Buon Dio). “Se voi siete miei testimoni, cioè se affermate la mia volontà, se la realizzate nel mondo, allora io sono Dio. Sono sempre Dio in me stesso, voi non ci avete niente a che fare, ma lo sono nel mondo come voglio esserlo. Se voi siete i miei canali, io sono Sorgente; se siete testimoni miei, io sono Dio”.

Ogni azione deve essere «teologale» nel realizzare Dio, nel fare che Dio sia Dio.

Amare come Dio ama e per l’amore con cui Dio ama.

Dio ama gli altri come ama me, per se stessi, rispettando la loro libertà, rispettando questa creazione di sé che essi compiono liberamente. Se io amo come Dio ama, amo gli altri nella loro realizzazione, in ciò che hanno di meglio, perché divengano se stessi, autenticamente.

(Contro l’obiezione di Sartre: se amo uno lo definisco, lo fisso in ciò che è attualmente).

Altrimenti: “Sorella mia, si vede bene che voi lavorate per amore di Dio!” (San Vincenzo de’ Paoli).

Peccare è porre un limite a Dio, a un irradiamento di Dio; è impedire che Dio sia Dio. Ma se io divento un ostacolo invece di essere uno strumento, mi svuoto di ciò che è l’opera della vita. In fondo, il peccato toglie Dio dal mondo (tolle eum!5). Per amor proprio.

In tutte le circostanze della vita dire a Dio: Tu sei il mio Dio. Ho nella mia azione una responsabilità che accetto sottomettendomi al Suo piano, che è un piano di comunione, di servizio, di unità per opera dell’amore. La Fede consiste nell’obbedire; “l’obbedienza della fede” (Rm 1,5). Vita quotidiana informata dalla Fede. Ogni mestiere. In tutto ciò che è buono, in tutto ciò che è, vi è Dio. Il Vangelo ha abolito la distinzione tra sacro e profano. La nostra vita più ordinaria non è profana.

Convertirsi è necessario per essere cristiani. Cioè: avere i nostri rapporti familiari, sociali, sotto la verticale di Dio, invece di avere semplicemente un legame orizzontale con le cose, considerandole come carnali, cose del mondo.

I santi vedono in tutto ciò che fanno, in tutto ciò che incontrano, una occasione di incontrare Dio, di farlo risplendere. Dio è Padre, ma non paternalista: la nostra libertà è immensa. Così per noi: non un apostolato ristretto, ma un possesso, un entusiasmo per questa presenza di Dio, per questo desiderio che egli sia Dio, e che lo sia per opera mia.

Il monoteismo deve essere cristocentrico. “Dio non lo conosco; non conosco che Gesù Cristo”. Non deve essere teistico (Cfr Gv 14,1-9). Una sola via: Gesù Cristo.

Il suo piano è un piano di comunione e di amore; è un piano di servizio che passa attraverso Cristo. In san Giovanni la lavanda dei piedi tiene il posto della narrazione dell’istituzione dell’Eucarestia negli altri Vangeli. Essa è appunto il significato del mistero eucaristico, servizio di amore (Cfr Fil 2,6 sq.; Mc 10,42-45; Ef 5,1). Dio ci basta, la vita ci basta per metterci in questa posizione di umiltà e di servizio. Realizzare Dio è realizzare così il suo piano.

Concepire la nostra vita di cristiani come un sacrificio spirituale, in quanto è vita offerta a Dio (Cfr Rm 12,1: “Offrite i vostri corpi”, cioè le vostre persone). Ciascuno di noi è il sacerdote di questo sacrificio spirituale. Il nostro culto è quello della nostra vita concreta riferita a Dio, volontà del Padre, obbedienza della fede per la quale ci inseriamo nel piano di Dio.

Pregare è atto essenziale, respirazione. È comunicare con la volontà di Dio, aderire al suo piano di salvezza, felici che Dio sia ciò che Egli è, che egli sia Padre e Figlio e Spirito Santo, che egli sia felice, glorioso, onnipotente; realizzare la vita come obbedienza alla volontà di Dio: tutta la vita diventa preghiera.

Dalla «cristianità» pagana ad autentici cristiani nel mondo pagano. Uomini che giungevano alla Chiesa con una umanità veramente pagana, umanità borghese (Péguy).

Questo borghese caratterizzato dal motto «ognuno per sé». Ognuno giungeva con la propria individualità, cosicché noi avevamo nelle nostre Messe una riunione di individualisti, non una comunità. Non cantava, non voleva cantare, non poteva cantare perché il canto è concretamente la mediazione poetica della comunione con i fratelli.

Invece essere cristiani ha un significato umano; non significa più soltanto appartenere a una Chiesa, ma ha un significato antropologico. Estendere le esigenze della Fede al di là del culto, alla realtà umana della vita del mondo e alla assunzione di responsabilità nel mondo.

Questo segna esattamente il passaggio dalla religione alla fede. La religione consiste in un culto che sale dal basso verso l’alto, che prende Dio come termine e fa salire una lode all’Essere supremo, al grande architetto. La religione vive di un culto, essa riguarda solo Dio e non comprende l’uomo. Si può avere una religione come un uomo pagano (fine secolo XVII sotto apparenze magnifiche ci si rende pagani). Mentre la Fede è Dio principio più che fine, che mi chiama ad essere strumento di irradiamento.

Caratteristiche del Cristianesimo contemporaneo sono impegno e comunità. Il cristiano è un uomo che ha coscienza del suo posto nel mondo. Non vive «per sé» ma ha il sentimento di essere responsabile degli altri, di dover far qualcosa per gli altri. È un uomo che vive in comunità, che condivide con gli altri, un uomo che comunica, che canta. Un uomo che serve, che assicura un servizio.

Bisogna assumere il mondo come è, con i suoi drammi.

Una teologia, una ecclesiologia non «in sé» ma che comprenda un uomo cristiano, tutta la comunità cristiana.

«Chiesa» che non comprende solo la gerarchia, ma «comunità cristiana», Chiesa racchiudente (tutti) gli uomini, formata anche con gli uomini, dagli uomini.

(Da Congar6, Le vie, p. 346 sq.)

2. La Fede come obbedienza è il principio stesso della vita religiosa e, in questo senso, se la cultura è la valorizzazione di un dono, la cultura della Fede è la vita cristiana stessa che si spinge, si porta verso la santità; è la via della santificazione. La Fede è anche dottrina, è la teologia.

Non separare l’uomo da Dio, e l’uomo come esso è; e dunque a sviluppare considerazioni di antropologia cristiana conformi a quello che è la vita cristiana oggi. Ai tempi dei Padri e dei teologi del Medio Evo, la vita umana era tale che le attività di lavoro, di produzione vi erano relativamente ridotte e considerate come una semplice necessità: si pensava che l’attività dell’uomo fosse essenzialmente contemplativa, che egli fosse una specie di monaco laico.

Oggi, al contrario, il lavoro è diventato sempre più una dimensione essenziale della vita umana; bisogna quindi condurre fin là la riflessione e la teologia. È possibile a condizione che ci si riferisca alla Bibbia in cui l’uomo e Dio sono inseparabili. La Bibbia dice ciò che l’uomo è e deve essere davanti a Dio, ma non di un uomo uscito dal mondo e consacrato a un’attività che si considera «sacra» perché lontana da attività considerate profane. Niente vi è di profano per il credente. Nel Corpo di Cristo e quindi nella vita del cristiano non vi è assolutamente nulla di profano. Bisogna sviluppare una cultura della Fede, della Fede biblica, della Fede nel Dio vivente; della Fede come dimensione dell’uomo lanciato nell’avventura del mondo, data l’esistenza di Dio e verso Dio. Il cristiano del nostro tempo è chiamato a vivere in modo intenso e leale una totale apertura a Dio e al mondo. Le armonizzazioni delle cose di un tempo non sono più completamente valide perché il mondo è cambiato: Dio non è cambiato, ma lo sono gli uomini e la conoscenza nostra del mondo.

(Idem, p. 374 sq.)

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