02/12/1973 - Ritiro di Avvento Adulti

Sant’Ilario d’Enza 02/12/1973
Ritiro spirituale avvento

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I MEDITAZIONE

Am 4, 12-13

C’è la prospettiva del profeta che predice un incontro con Dio, un incontro decisivo per il popolo di Israele, l’incontro con la maestà di Dio.

Dobbiamo fare il nostro ritiro, cercando di cogliere quanto più possibile il significato liturgico dell’Avvento, in modo da poterlo vivere con fervore e con umiltà.

Il tempo dell’Avvento traduce bene la posizione vera della Chiesa che è tutta in un Avvento, cioè in uno stato di attesa. La Chiesa è pellegrina, è tesa, vive nell’aspettativa. Perciò dobbiamo scoprire, approfondire, che cosa vuol dire questa frase che sentiamo tanto spesso, cioè che noi facciamo parte di un popolo pellegrino, che noi facciamo parte di un popolo che è in cammino. Dobbiamo scoprirne la verità, perché non ci succeda che queste parole praticamente, concretamente con ci dicano niente.

Naturalmente se l’Avvento è attesa, l’Avvento è ancora preparazione. Attesa: l’uomo aspetta dal suo Dio, aspetta dal suo Redentore, aspetta dal suo Rimuneratore. Questi sono i tre aspetti dell’Avvento.

Aspetta dal suo Dio: da Dio viene ogni bene. Dice S. Giacomo, nella sua lettera al capitolo 1, che ogni buon dono ci viene da parte di Dio.

La venuta di Cristo redentore: riconoscere le proporzioni vere della nostra redenzione, della nostra salvezza e porci in umiltà riconoscendo che noi non abbiamo il dominio, la padronanza di noi e delle nostre cose, ma che il vero Signore e dominatore è Gesù e che perciò noi dobbiamo riconoscere di essere solo degli amministratori che dovranno dar conto al Signore di tutto quello che concerne questa amministrazione. E’ il pensiero della relatività di tutte le nostre cose, anche di quello che noi realizziamo nella vita o che realizza la civiltà degli uomini, che ha in se’ molto valore, ma non ha un valore assoluto in quanto dev’essere semplicemente vista come preparazione per la Parusia finale. (Mt 24, 45-51)

Vorrei che questa fosse la traccia della riflessione di oggi: questa mattina vorrei che riflettessimo sull’attesa di Dio creatore e oggi pomeriggio sull’attesa di Dio redentore e di Dio rimuneratore.

E’ necessario riconoscere la nostra dipendenza da Dio. Per riconoscere questa dipendenza da Dio, dobbiamo prima di tutto scoprire la presenza di Dio creatore, entrare a contatto con Lui, prendere concretamente atto (lo sappiamo in teoria) che tutto ci viene da Lui.

Noi abbiamo bisogno di Dio, questo senso della nostra carenza fondamentale, essenziale, perché il conservare in essere è una continua creazione. La nostra strada è quella perciò di una umiltà radicale e umiltà è impossessarsi della verità, è un graduale impossessarsi della verità e la verità è che Dio è tutto e noi siamo niente, che ogni bene ci viene direttamente da Lui, perché se noi siamo niente nell’essere evidentemente siamo niente per noi anche nel campo dell’agire, dell’operare.

Il senso dell’umiltà pervade l’Avvento e osserverete nelle Messe e negli altri testi della liturgia questa insistenza: si ripete spesso: “siamo niente davanti a te”. Siamo niente per la nostra stessa entità, per la nostra stessa natura, siamo niente, perché poi abbiamo aggiunto a questo niente il nostro peccato. Isaia dice: “I nostri peccati ci hanno portato via come la pula dell’aia è portata via dal vento”: siamo pula dispersa, senza forza, senza consistenza, senza che possa in qualche maniera gloriarsi di se’ perché la gloria va solo a Dio.

Questo senso dell’umiltà, cioè il vedere le nostre vere proporzioni ci educa, ci educa a quel senso creaturale profondo che è tipico della liturgia dell’Avvento, senso creaturale che nutriva tanto la spiritualità d’Israele. Il tempo d’Avvento ci porta a riconoscerci una continuazione del popolo di Dio, anche del popolo di Dio dell’Antico Testamento, la spiritualità dei patriarchi e dei profeti che era così sostanziata di questo senso creaturale, di questo senso profondo del vero rapporto con Dio, Dio nella sua maestà infinita, Dio nel fulgore delle sue perfezioni. Ricordate la spiritualità dei salmi: “Del Signore è la terra e tutto quello che contiene – dice il salmo 24 – il mondo e i suoi abitanti. Egli l’ha fondata sui mari…”. E’ sempre questo concetto che ritorna: il nostro niente, la nostra vera proporzioni. Non possiamo assolutamente presumere di noi stessi, anzi sottolineerà la spiritualità dei salmi che gli uomini hanno deviato proprio perché non hanno riconosciuto questa grandezza di Dio. “Salvaci Signore perché non c’è più un uomo pio”: un uomo pio è proprio quello che riconosce questa dipendenza totale dal Signore.

Perciò la nostra spiritualità deve approfondirsi. La maestà di Dio si manifesta sempre, si manifesta nei fenomeni naturali (ricordate per tutti il salmo 28), si manifesta nei prodigi della natura, si manifesta nei suoi interventi storici, nelle sue rivelazioni (ricordate per tutti il salmo 113).

Questo senso di umiltà porta al senso di adorazione, molto forte nella liturgia dell’Avvento: senso dell’adorazione di Dio in se stesso e nelle sue manifestazioni, per cui noi dobbiamo nelle cose della natura, il tutte le cose ammirarne la perfezione e sentirne la dipendenza e esprimere questa dipendenza attraverso lo spirito di adorazione. Nelle Messe dell’Avvento è un sentimento ben sottolineato l’adorazione. Ricordavamo anche questa mattina stessa nel salmo responsoriale: “a te, Signore, innalzo l’anima mia, tu sei il mio Dio”.

Educarci perciò al senso dell’adorazione nell’Avvento, sottolineare come il senso di adorazione sia una missione di noi cristiani in questo tempo, in questo mondo che chiamiamo secolarizzato, cioè un mondo che non solo vuol essere autonomo da Dio, ma che trova Dio come un impaccio, come un ostacolo alla sua libera espansione, non solo si sottolinea che si vuol far senza di Dio, ma si dice che è vitale far senza di Lui, che non interessa, che è un’ipotesi che è inutile mettere. La nostra posizione è invece opposta: non solo riconosciamo che da Dio è tutto, ma noi lo adoriamo, cioè ne riconosciamo la grandezza e le perfezioni e ci poniamo in un sentimento di vera donazione ai fratelli, diciamo che costruiranno la loro città, ed è giusto che la costruiscano, ma che nella loro città sempre ci dev’essere Dio, lo devono cercare, secondo l’espressione dell’Apocalisse: “non c’è più bisogno del sole, perché il sole è l’Agnello”. La società che vogliamo costruire deve avere per sole l’Agnello.

Ci dobbiamo educare a guardare le cose in quest’ordine di dipendenza e di mezzo a Dio: noi saliamo verso Dio, le cose sono dei gradini e tutti i gradini servono.

L’Avvento è quindi anche un incontro nuovo con le creature, non solo con Dio, ma con la creazione stessa, instauriamo un rapporto nuovo con la creazione vedendo nella creazione il segno di Dio e il mezzo con la quale Dio viene a noi.

Diceva Isaia nel capitolo 64: “O Tu spaccassi il cielo e discendessi”. Dio discende, discende a noi attraverso le cose: noi dobbiamo andargli incontro. Amos, nel testo letto prima dice: “Affrettati ad andare incontro a Dio, perché è Lui che ti ha fatto i monti, che ha creato i venti e ti annuncia la sua parola”.

E’ l’inno che torna per tutto l’Avvento la considerazione della potenza creatrice di Dio. In questo momento Dio crea e ci dà la sua creazione. “Il mio Padre – dice Gesù –opera fino ad ora” e “gli occhi di tutti – dice il salmo 144 – sperano in te, o Signore”: gli occhi di tutte le creature sono fissi su di Lui per questa continua creazione, per questo continuo dono. Per cui vediamo le cose nella loro bontà, nella loro bellezza, nella loro grandezza, le vediamo come un incontro bello in Dio. L’uomo nuovo si riconcilia con le cose nuove, quelle cose che sottratte al peccato (ricordate il testo della lettera ai Romani) vengono invece riconosciute buone, dono continuo dell’opera e della misericordia di Dio.

Ecco allora il nostro preciso impegno: nella nostra vita non fare una rottura tra le cose naturali e le cose di fede, soprannaturali, sentire che tutto è dono, che tutto è buono. Ogni cosa di chi è puro è pura.

Spetta all’uomo questa vera gloria da dare a Dio per la creazione.

Di conseguenza, creare l’armonia nella nostra vita, creare un’armonia piena, completa. Noi dobbiamo essere uomini nel senso pieno della parola, dobbiamo valorizzare i doni che ci sono nella nostra umanità e nella creazione che ci circonda. Saremmo dei falsi cristiani, se disprezzassimo questo aspetto.

Dobbiamo collaborare con Dio perché questo mondo diventi più degno d’essere la dimora dei figli di Dio, dobbiamo collaborare con Dio, perché per tutti gli uomini ci siano questi doni della creazione, perché questo sottrarre le creature al peccato è frutto anche della nostra collaborazione. Noi dobbiamo lottare, perché tutti gli uomini abbiano ciò che dà Dio, perché l’egoismo di altri uomini, perché le costruzioni false di altri uomini non sottraggano il pane e gli altri beni che vengono da Dio creatore.

Il tempo della creazione non è compiuto, non è compiuto né per Dio e né per noi: c’è un lavoro da fare insieme. Avvento vuol proprio dire questo non è compiuto, siamo ancora in attesa, c’è ancora da fare, quindi un impegno vero da realizzare. L’autunno è tempo di semina: l’Avvento è tempo di semina. Riconoscere dunque onestamente tutto il lavoro da fare.

Sicché, noi possiamo fare la revisione di vita così: il nostro senso di Dio cui corrisponde la virtù dell’umiltà. Umiltà allora nella nostra preghiera, umiltà nella nostra partecipazione alla Messa, il nostro senso vero del niente, il nostro senso vero del peccato. Riconoscere Dio: un’accentuata meditazione sulla grandezza, le perfezioni, gli attributi di Dio. Vedere nella liturgia i motivi di meditazione quando si parla della maestà di Dio.

Poi dare un peso maggiore alla nostra adorazione e vedere se abbiamo veramente insistito su questo elemento durante la nostra giornata.

Poi vedere non solo le singole virtù (se vediamo solo le singole virtù rischiamo di frazionare e se si fraziona si rompe), ma vedere anche l’armonia che noi dobbiamo costruire tra le nostre virtù naturali e le nostre virtù soprannaturali, queste virtù che fanno del cristiano l’uomo che ha raggiunto il suo vertice. Curare quindi le piccole virtù umane che in certi momenti assumono molta dignità e diventano le grandi virtù.

Poi vedere nelle opere della creazione la manifestazione di Dio e incontrarci con Lui attraverso le creature, riconoscendo quanto di bene c’è nel mondo, in tutto il mondo, anche nel mondo che non è nostro, anche nel mondo degli altri uomini. Sentire quindi il nostro spirito di collaborazione.

Questi sono i punti della nostra revisione. Naturalmente ognuno di noi dovrà trovare il modo, perché queste cose non siano poste in maniera astratta e generica, ma perché vengano ben tradotte nella nostra vita.

II MEDITAZIONE

Mt 17, 9-13

Gesù viene e viene come la manifestazione dell’amore di Dio, della misericordia di Dio. Già il salmo 79 richiama questo: è il pastore d’Israele che viene, il Dio della maestà, assiso sui cherubini, è il Dio della misericordia, dell’amore.

L’Avvento è riconoscere non semplicemente e solamente la grandezza e la maestà di Dio, ma riconoscerne pienamente l’amore.

Parlare di redenzione è riscoprire Dio come amore, come Colui che ha come posizione essenziale il donarsi: Dio è colui che ci dona, Dio è colui che non si ferma di fronte all’ingratitudine delle sue creature, che non si ferma di fronte al ripetersi del peccato, ma che vince amando.

E’ così che dobbiamo sentire l’Avvento: andare ad adorare Gesù nel Natale è andare a trovare l’amore, è andare a trovare la pienezza della misericordia. Il pastore d’Israele è venuto e dirà: “Io sono il buon pastore, il buon pastore dà la vita per le sue pecore”.

L’esempio che dobbiamo prendere per questo nostro andare incontro a Gesù, la figura che dobbiamo riscoprire per camminare lungo quella strada è la figura di Giovanni Battista. Giovanni Battista domina l’Avvento, è il precursore, è il nuovo Elia, è il profeta che è venuto.

In molte Messe c’è un brano del Vangelo che parla di Giovanni: domenica prossima c’è la predicazione, giovedì dopo ci sarà l’elogio fatto da Gesù, il sabato dopo c’è il brano in cui si verifica la profezia per cui doveva venire il nuovo Elia, la terza domenica è ancora sulla predicazione di Giovanni Battista, poi il 19 dicembre è una rivisitazione di tutta la vita di Giovanni che comincia con l’annuncio dell’arcangelo Gabriele a Zaccaria, poi il 21 dicembre si parla della visitazione e la quarta domenica d’Avvento (quindi tutte e tre le domeniche d’Avvento) è ancora la figura di Giovanni Battista nell’esultanza che ha provato, perché Gesù lo è andato a trovare, esempio della nostra gioia nell’accogliere Gesù.

Ecco allora come si imposta la nostra riflessione.

Giovanni Battista ripieno di Spirito Santo ha esultato. La figura di Giovanni battista appariva molto severa, in realtà era per un piano provvidenziale che doveva essere così, in quella dimensione. Gesù stesso lo sottolineerà: il piano provvidenziale era presentare una via di penitenza e presentare la vita di Gesù che non aveva quel tipo di penitenza (Mt 11, 16-20). Giovanni Battista traduce un esempio vivo di penitenza, la strada che egli indica è una strada di gioia nell’avvicinarsi al Signore.

Come dev’essere la nostra gioia d’Avvento? Dev’essere configurata così: dobbiamo avere la grande gioia nel sapere che Dio ci ama, non c’è maggiore gioia. Quando un’anima sa che il suo Dio è per lei, quando un’anima sa che il suo Dio si dona a lei, che il suo Dio la ama anche se ha fatto dei peccati, che il Signore non si fa stancare dai nostri peccati perché è paziente e ricco di grazia (salmo 144), quando un’anima sa questo non entra più nell’angoscia, non prova più lo smarrimento, non si affonda più nella solitudine perché “il mio Dio mi ama”.

Perciò prepararci al Natale è prepararci con gioia a trovare Dio diventato nostro Dio. Isaia diceva: “Egli sarà chiamato Emmanuele, Dio con noi”.

Dobbiamo sviluppare questa gioia dell’esperienza di Dio amore. Troppo spesso o per orgoglio, o per leggerezza ci chiudiamo in noi stessi e ci misuriamo e misuriamo gli altri col nostro metro, ma l’amore di Dio è un amore che non conosce metro, che non conosce misure, l’amore di Dio è infinito. Per cui spesso troveremo quelle espressioni come troveremo il secondo giovedì di Avvento: “Farò scaturire fiumi (Isaia 41, 18-20) su brulle colline, fontane in mezzo alle valli, cambierò il deserto in un lago d’acqua, la terra arida in sorgenti”. Le immagini veramente poetiche, nello stile orientale, dicono tutto: dov’è il deserto della nostra anima, l’aridità della nostra vita spirituale, la infecondità delle nostre opere il Signore agisce. “Pianterò cedri nel deserto, arance, viti e ulivi, porrò nella steppa cipressi, olmi insieme con abeti perché vedano e sappiano, considerino e comprendano a un tempo che questo ha fatto la mano del Signore, lo ha creato il Santo d’Israele”: questo si verifica nel popolo di Dio, questo si verifica in ogni anima che è parte e manifestazione del popolo di Dio.

Perciò, la gioia è la gioia del possedere Dio nostra salvezza, la gioia di non essere impotenti di fronte alle opere del male, perché il male non può superare l’amore infinito di Dio, il male non può avere una forza maggiore del bene.

“Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione…” (Bar 5, 1-9). Ecco, sempre questa idea della bontà di Dio, di Dio che ci salva dalle oppressioni, che sono le oppressioni che ogni anima retta esperimenta in se stessa.

L’avvento della redenzione è un profondo avvento di gioia: in questo periodo liturgico, dobbiamo dare spazio a questa gioia di possesso di Dio amore, di Dio perdono. Troviamo l’esempio di Giovanni Battista che accoglie Gesù da bambino nel seno di sua madre: “Egli esultò”; poi Giovanni accoglie Gesù al Giordano ed è presente alla prima grande manifestazione di Dio: “vide lo Spirito di Dio a scendere su di Lui”.

Giovanni è stato un uomo di gioia anche se di penitenza, tanto più di gioia quanto più di penitenza.

Giovanni era l’Elia ritornato: Sir 48, 1-6.

Il secondo elemento: andare incontro al Signore che viene nella redenzione è prepararsi a un sì deciso, è la generosità senza limiti cui siamo chiamati di cui è esempio Giovanni: “Si ritirò nel deserto. Suo cibo erano le locuste e il miele selvatico.” Giovanni non ha mezzi termini, è l’uomo che di fronte al piano di Dio accetta fino in fondo. La sua forma penitenziale non denota una stranezza o una forma di autolesionismo: dona con generosità, non nega nulla, perché era necessario che fosse così. Non era allora per un desiderio di stare lontano dagli uomini, anzi la sua solitudine verrà ad essere piena di gente, non era il desiderio di contrapposizione: Giovanni Battista vive una vita di penitenza come una risposta a Dio. Quello che ci insegna sta proprio nella risposta piena, completa. Non sono le forme, le forme possono essere tantissime: lui ha preso quella forma. Le nostre forme saranno in conformità al nostro stato, alle nostre condizioni, al soffio dello Spirito che agisce in noi.

Giovanni Battista ci insegna allora che, andare incontro al Signore, è porci totalmente a disposizione della sua Provvidenza: la sua Provvidenza ci chiama, ci vuole e vuole una maturazione in noi, perché la nostra santità non resti una santità bambina. Il mistero dell’Avvento è un mistero di crescita, è un mistero di maturazione. I doni posti in noi non sono stati posti perché rimangano seme, ma perché possano crescere e diventare alberi: “Il regno di Dio è simile a un granello di senapa”.

Allora andare incontro al Signore è vedere quali frutti fino ad adesso ha operato la sua redenzione in noi, come ha trovato corrispondenza. E’ l’invito che ci viene da S. Paolo: “Crescete fino alla statura del Cristo. Quando io ero bambino agivo come bambino…”. Il nostro atteggiamento dev’essere quello di cristiani maturi, adulti, completi.

Quello che non è maturato è dovuto alla nostra poca generosità: siamo stati poco generosi, per cui il seme che è in noi ha trovato un terreno non buono. “Non siete contenti di stancare la pazienza degli uomini perché ora vogliate stancare anche quella del mio Dio?”: noi rischiamo, dice Isaia, di stancare la pazienza di Dio, cioè di abusare del dono di Dio, di non essere generosi.

Essere di vero cuore, essere tali da resistere, perché in Lui si resiste. “Somiglia il mio diletto a un capriolo o a un cerbiatto. Cammina forte, sale anche sui dirupi, non si ferma davanti al terreno scosceso”.

Ecco, allora l’impegno nostro nel vedere a che punto è il nostro progresso spirituale, se purtroppo, nonostante tutto, siamo sempre fermi.

L’insistenza della liturgia è anche nella sicurezza di poter riuscire se siamo generosi; la nostra generosità non sarà qualcosa di sprecato, di buttato là che non produce: “Coraggio, non temete, ecco il vostro Dio, Egli viene a salvarci. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi, si schiuderanno gli orecchi dei sordi, allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto”: Perché anche lo zoppo salterà come un cervo? Perché “scaturiranno acque nel deserto, correranno torrenti nella steppa, la terra bruciata diventerà una palude…”: E’ sempre lo stesso concetto, è il senso di fiducia nel bene che si svolge nel mondo, fiducia nella Chiesa intesa come Corpo del Cristo. Non può essere inutile l’opera della Chiesa, non può essere inutile questo mistero che si svolge nel nostro tempo.

Non dunque sfiduciati, non dunque pessimisti: il Signore viene, viene per il popolo di Dio, viene per una nuova salvezza del mondo intero, viene per ogni anima.

Perciò la penitenza di Giovanni Battista ci parla di questa decisione, di questa umiltà e nello stesso tempo di questa fiducia in Dio.

Il terzo punto della riflessione: Giovanni ci è un esempio della terza virtù dell’Avvento che è la comprensione. Ricchi della carità del Redentore, noi lo comprendiamo, cioè lo vediamo negli altri, lo vediamo nel nostro prossimo. Giovanni quando le folle lo interrogavano sul cosa dovevano fare rispondeva: “Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha e chi ha da mangiare faccia altrettanto…”(Lc 3, 10-14).

Allora il capire nella carità il nostro prossimo è capirlo nei suoi pregi, è capirlo nei suoi difetti, è creare col nostro prossimo un equilibrio di carità. L’attesa del Signore Gesù non può essere solo mia, ma è nostra: qualcuno è più avanti, qualcuno è più indietro, ma ci dobbiamo prendere per mano.

Dunque, come primo elemento Giovanni Battista pone la carità della partecipazione: “Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare faccia altrettanto”. Non chiede delle cose straordinarie, ma pone come normalità questa partecipazione. Gesù sottolineerà: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. Le folle interrogavano Giovanni e alle folle risponde così; non è dunque un discorso di carità per iniziati, per degli eroi, per qualcuno che ha una vocazione speciale, ma è nella normalità: “Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha”. Notate che non c’era ancora l’esempio pubblico di Gesù.

Poi è una carità che rispetta le situazioni degli altri, non dice ai pubblicani (il loro mestiere era molto pericoloso, era un’occasione unica per rubare) di smettere di fare i pubblicani, non dice di cambiare mestiere, ma dice: “Non esigete di più di quanto vi è stato fissato”. Noi dobbiamo rispettare nella carità la libertà degli altri, il modo di esprimersi degli altri, le scelte degli altri e non in un vago senso di sopportazione e di pazienza, o, peggio, di diplomazia e di modo per andare d’accordo, ma nella stima.

Ancora una carità che è intelligente. Alcuni soldati lo interrogarono e Lui disse: “Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe”. Una carità intelligente è una carità che sa vedere, è una carità che sa prevenire, è una carità che sa aiutare al momento e al modo opportuno.

Giovanni Battista ci è allora veramente ancora maestro: così ci prepariamo.

L’ultima parte della nostra meditazione la dedicheremo alla revisione di vita, ci interrogheremo su come viviamo la gioia di Dio amore, come maturiamo la nostra santità: che cosa ci manca? Di quali cose, di quali atti di generosità dobbiamo arricchirci? Interroghiamoci sulla nostra carità: ricevere il Signore insieme e per poterlo ricevere insieme realizzare una più profonda, fattiva e incisiva carità.

III MEDITAZIONE

Lc 1,46-55

Vorrei che noi imparassimo da Maria lo spirito dell’attesa.

Dicevamo Dio creatore, Dio redentore, Dio rimuneratore. La nostra virtù della speranza, andare incontro al Cristo che viene. In fondo si è sempre paragonato la nostra vita presente al tempo della gestazione “finché Cristo si formi in voi”. E’ un tempo di gestazione, di oscurità ed è quando avviene la nascita che noi entriamo nella luce, che noi entriamo in un’altra dimensione di cose, in un altro tipo di cose.

Noi sappiamo che il Signore è infinitamente fedele, che non delude le sue promesse, per cui la nostra vita presente è nell’ordine della serenità. Giustamente noi dobbiamo pensare a Cristo giudice quando siamo infedeli, ma quando con la sua grazia cerchiamo di fare il possibile ecco la nostra serenità di attesa, la nostra fiducia nell’attesa: noi aspettiamo il Signore – come dice S. Paolo – che cambierà questo nostro corpo mortale in un corpo incorruttibile, quando adesso lo vediamo come in uno specchio, ma poi lo vedremo faccia a faccia.

Sicché, Maria è nostro modello dell’attesa. In questo periodo l’attesa di Maria è modello all’attesa nostra. Maria aspettava Gesù e noi aspettiamo Gesù.

Sicché, la meditazione nostra sulla speranza è alimentata nella meditazione della vita di Gesù in Maria. Questi giorni che precedevano la nascita devono aver rappresentato per Maria un punto assolutamente grande: la sua attesa così forte, così bella, così ricca. Maria non ha interrotto la sua vita quotidiana, non si è chiusa così, ha svolto tutto normalmente, è andata persino a fare un viaggio da Nazaret a Betlemme.

Il primo punto della nostra riflessione mi pare debba essere questo: Maria ci è un esempio nel come, in serenità, ha atteso il Signore. La serenità nella nostra vita: serenità non è solo gioia, comprende tutto. Serenità vuol dire dominio di noi stessi, vuol dire senso dell’equilibrio, vuol dire il vedere le cose come le ha vedute la Provvidenza di Dio che le ha permesse e le dispone.

Dobbiamo dunque imparare da Maria quest’equilibrio così necessario nella nostra vita, questo equilibrio in mezzo alle nostre preoccupazioni, in mezzo al nostro affannarci, in mezzo a tutto quello che in qualche modo turba il nostro solito ordine. Nelle vostre famiglie “c’è sempre qualcosa” si dice, c’è sempre qualche motivo di preoccupazione, c’è sempre qualcosa che si aggiunge, varia ma qualcosa c’è sempre. La Madonna ci insegna a realizzare una grande qualità che indubbiamente ci aiuta dappertutto: la fortezza, fortezza che mette le cose al loro posto, che mette le cose nella gerarchia giusta, la fortezza che non si sgomenta anche se la via del Signore è una via come non avevamo pensato che fosse. “Egli diceva loro: raddrizzate le vostre strade”: è necessario che diventino dritte, è necessario. “Ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato, i passi tortuosi siano dritti, i luoghi impervi spianati, allora ogni uomo vedrà la salvezza di Dio”.

Questa fortezza noi dobbiamo volerla come un sì all’amore di Dio. Parlavamo nella meditazione precedente dell’amore di Dio e ora dobbiamo parlare dell’amore nostro come risposta a questo amore. L’amore nostro dev’essere posto così nella serenità e posto nella fortezza. Non lasciarci travolgere dalle cose: “Non inquietatevi”, ecco l’esortazione. Tornano le parole di Gesù a Marta: “Marta, Marta, per molte cose tu ti turbi” e quante volte ci dobbiamo ripetere questo? Per cui non riusciamo a fare una vita spirituale lineare, per cui la nostra vita di pietà diventa discontinua. Se noi aspettiamo ad avere una vita di pietà ricca e continua quando tutto va liscio, per brevi periodi della vita questo può essere, perché il resto senza dubbio sarà buttato via.

Allora l’impegno a vedere in Maria che aspetta in una serenità e in una fortezza grandissima il modello della nostra vita, il modello del nostro agire, il modello nel saper prendere le cose. Quello che colpisce in Maria è proprio questa fortezza, questa serenità, questo muoversi così sicuro quando non c’era niente di umanamente sicuro: ella si basava sulla parola di Dio.

Seconda considerazione: Maria ci è esempio di comunione con Gesù.

Difficilmente noi possiamo immaginare come si poteva realizzare nell’effusione dello Spirito Santo (“lo Spirito Santo scenderà su di te”, infatti chiamiamo la Madonna “Vaso Spirituale”, proprio perché è un vaso pieno di Spirito Santo) questa unione profonda della mente e del cuore di Gesù e di Maria, come la Madonna si doveva sentire unita a Gesù, al suo Gesù. L’attesa del Signore che viene e la comunione col Signore già venuto. “Quando verrà il regno di Dio, chiedevano a Gesù e egli diceva: il regno di Dio è già dentro di voi.

Vivere nella fede, per cui vivere nella gloria, vivere nella fede che è unione grandissima con Dio. La nostra comunione con Gesù, le nostre Messe dell’Avvento devono accentuare l’aspetto comunione, perché se non facciamo comunione con Gesù non lo possiamo nemmeno capire. La nostra vita di fede, la nostra maturazione nella fede si deve proprio attuare così: noi dobbiamo considerare che Gesù ci viene a trovare, la visita di Gesù nella fede e che tutto quello che avviene, avviene perché Lui lo vuole, perciò comunione confidenza, comunione abbandono, comunione fusione, Comunione eucaristica per la comunione quotidiana.

Aspettiamo il Salvatore. Questa nostra comunione con Gesù vista nella fede ci dirà che il Signore viene a noi con le sue ispirazioni, ci parla, viene a noi con le sue consolazioni, viene a noi permettendo le tribolazioni, ma è Lui che visita l’anima.

La necessità di rimanere sempre uniti a Lui, comunione profonda di amore. Le nostre Messe dell’Avvento sarà bene accentuarle così: nell’offertorio offerta dei nostri desideri, nostra disponibilità ad ascoltarlo, a lasciarci guidare; preghiera eucaristica nella particolare disponibilità ad accompagnarci a Gesù, l’accompagnarci a Lui perché è Lui che ci vuole partecipi del suo mistero di redenzione: nasce per noi, ma (capite in che senso si può dire questo) nasce con noi, nasce per mezzo nostro. Quindi volere realizzare questa comunione di vita.

Terzo punto: la Madonna ci è modello come tabernacolo di Gesù. Adorare Gesù in Maria. Cosa vuol dire questo? Capire la funzionalità che ha Maria nella vita della Chiesa, è Madre della Chiesa, cioè genera, accresce, la fa sviluppare, è madre di ogni anima. Nessuno ci può preparare meglio a un incontro rinnovato col Signore, nessuno ci può preparare meglio al nostro giorno, cioè quando compariremo davanti a Lui. Maria è la nostra guida.

Sicché, questo tempo d’Avvento noi lo dobbiamo anche vedere come un tempo nel quale in particolare ci dobbiamo lasciare guidare da Lei. Dal tabernacolo a Gesù: il tabernacolo, Domus Aurea, è Lei.

Quindi le Messe d’Avvento sottolineano questa presenza materna della Madonna, La liturgia pone ad ogni passo il pensiero e il ricordo di Lei: Gesù ci arriva per mezzo di Maria. Altrimenti il nostro sforzo è destinato alla sterilità non possiamo: la genealogia di Gesù ci fa capire che Egli arriva dagli uomini, ma perché gli uomini terminano in Maria, è un germoglio che sboccia sulla radice di Iesse.

Sicché, questa Vergine che concepirà e darà la luce a un Figlio è Lei, che continuamente compie questo concepimento e dà l’Emmanuele, continuamente. “Non temere, Giuseppe, di prendere con te Maria tua sposa, perché quello che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù”: non temere, è necessario che accogliamo Maria, perché Maria ci dà, per mezzo dello Spirito Santo, Gesù e Gesù è il salvatore, colui che ci libera, che ci santifica, che veramente dà il senso alla nostra vita. “Sei tu Signore la mia speranza, la mia fiducia…” (Sal 70).

Ecco, restare a scuola di Maria: imparare come si aspetta, come si costruisce nella vita, come si realizza l’incontro spirituale con Gesù sulla terra nella fede, indispensabile per realizzare l’incontro con Gesù che viene nella gloria e dove darà a ciascuno secondo quello che uno merita.

Ecco allora, che ci uniremo alla Madonna nel Magnificat e vorremo che queste giornate siano veramente piene, un Avvento molto intenso: “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente”. Bisogna che abbiamo molta fiducia in questo Avvento, perché la nostra spiritualità sia viva, fervida, una spiritualità che incide fino in fondo.

“Dice ai pusillanimi: il Signore viene” dice Isaia: in fondo molte volte nutriamo sfiducia nel riuscire, stanchezza, svogliatezza. E’ necessario che impariamo questo tono dell’Avvento che è tono della sicurezza della salvezza del nostro Dio: “Ecco il Signore Dio viene con potenza, con il braccio forte. Ecco, Egli ha con se il premio e i suoi trofei lo precedono…” (Isaia 40, 10-11)

Riconosciamo nel Signore il pastore, riconosciamoci negli agnellini che Lui sa portare sul petto.

CODICE 73N1R083
LUOGO E DATA Sant’Ilario d’Enza 02/12/1973
OCCASIONE Ritiro spirituale avvento
DESTINATARIO Gruppo adulti
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI L’attesa di Dio creatore / L’attesa di Dio redentore / L’attesa di Dio rimuneratore
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