27/11/1977 - Ritiro di Avvento Giovani

27/11/1977
Ritiro spirituale Avvento

Ascolta l'audio

I MEDITAZIONE

Sal 15

Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.

Ho detto a Dio: “Sei tu il mio Signore,

senza di te non ho alcun bene”.

Per i santi, che sono sulla terra,

uomini nobili, è tutto il mio amore.

Si affrettino altri a costruire idoli:

io non spanderò le loro libazioni di sangue

né pronunzierò con le mie labbra i loro nomi.

Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:

nelle tue mani è la mia vita.

Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi,

è magnifica la mia eredità.

Benedico il Signore che mi ha dato consiglio;

anche di notte il mio cuore mi istruisce.

Io pongo sempre innanzi a me il Signore,

sta alla mia destra, non posso vacillare.

Di questo gioisce il mio cuore,

esulta la mia anima;

anche il mio corpo riposa al sicuro,

perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro,

né lascerai che il tuo santo veda la corruzione.

Mi indicherai il sentiero della vita,

gioia piena nella tua presenza,

dolcezza senza fine alla tua destra.

Entrare nell’Avvento, nello spirito d’Avvento, entrarvi con un cuore adatto. Il cuore adatto è questo: “Il Signore è la mia parte di eredità”. Io rifiuto gli idoli, ogni mia salvezza viene da Lui.

Il cuore adatto è il cuore di colui che pone in Dio tutta la sua speranza, tutti i motivi per cui spera alla salvezza e ha un cuore sgombro, si lascia occupare dal suo Dio.

Cosa vuol dire celebrare l’Avvento? Andare incontro al Natale, riconoscere in un bambino povero il nostro Dio. Cosa vuol dire se non dichiarare il fallimento della nostra umanità lasciata a se stessa, il fallimento delle nostre pretese umane. Senza Dio l’umanità non può camminare, senza Dio l’umanità non può vivere, senza Dio ognuno di noi è un miserabile che non sa, che non può, che non cammina.

Noi ci vediamo nell’immagine del paralitico del Vangelo. Egli era da trentotto anni così e non poteva muoversi, non poteva andare incontro alla salvezza mentre gli altri si potevano muovere. L’uomo è raffigurato così in quest’immagine che non è pessimistica, ma vuol essere semplicemente realistica, l’immagine che senza Dio noi siamo, come dice la liturgia di oggi, a brancicare nelle tenebre, senza Dio noi non ci muoviamo.

In questa dichiarazione di fallimento di noi stessi, di fallimento delle nostre capacità, di fallimento delle nostre cose, delle nostre pretese ricchezze, s’annuncia la luce del Natale. In fondo è tutta la psicologia di tutto l’Antico Testamento. Ripeteremo in questo tempo d’Avvento il “rorate”: è l’umanità che dice allora “piova il Giusto”, questa rugiada del cielo, s’apra la terra, dia un germoglio, perché altrimenti non è possibile.

Questa considerazione è una considerazione molto viva che noi dobbiamo trasportare dall’umanità a noi stessi. Avere la consapevolezza del proprio fallimento, delle proprie colpe, avere la consapevolezza che non abbiamo lasciato lo spazio al nostro Dio, che non abbiamo lasciato venire in noi completamente la salvezza, ma siamo stati delle anime mediocri, soffocate dalle cose.

Questa constatazione di noi stessi si apre a una prospettiva bene evidente: noi non possiamo che fare un discorso di povertà. Se vogliamo essere sinceri, se vogliamo usare un minimo di lealtà dobbiamo affondare qui il nostro discorso, sulla povertà, perché il Signore ha messo all’inizio questa beatitudine, prima di tutte le altre: “Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli”. Non parliamo di poveri in senso sociologico, ci sarebbe un altro discorso da fare: noi parliamo di spirito di povertà in senso biblico. Chi ha ricevuto il Signore? Chi lo ha riconosciuto? Chi lo ha seguito? Non sono stati forse i poveri di Iahvè, quei poveri che hanno avuto il loro vertice in Giovanni Battista, in Giuseppe e soprattutto nella Madonna? Chi ancora adesso segue da vicino le orme del Signore se non quelli che sono veramente poveri?

Povertà vuol dire allora rinuncia alle nostre ricchezze umane. Leggevamo nel salmo e lo dobbiamo sottolineare: “Si affrettino altri a costruire idoli”. Il mondo è una perpetua costruzione di idoli. Noi rifiutiamo queste speranze umane, noi accogliamo le speranze di Dio. Il povero è colui che rinuncia a totalizzare nelle cose in se stesso e a confidare totalmente nel suo Dio. Il povero è colui che va incontro al Signore, sapendo che il Signore è l’unica salvezza. Non ho bisogno di dirvi, ed è evidente, che questo è disprezzo delle cose del mondo, ma è disprezzo solo del totalizzare dei beni del mondo, anzi il povero diventa veramente il re delle cose perché le usa, le asservisce, le finalizza e non è asservito alle cose e non è preso dalle cose.

Dobbiamo cioè acquistare un cuore di povero acquistando il senso profondo di Dio, delle cose di Dio, della priorità delle cose di Dio; dobbiamo acquistare il senso di Dio pieno e forte, perché altrimenti, e non ho bisogno di sottolinearlo molto, siamo dei mezzi cristiani, siamo dei cristiani paurosamente indietro.

Bisogna che ci liberiamo, bisogna che facciamo il cantico di S. Francesco, bisogna che facciamo il cantico di Francesco che si è liberato da tutto per avere solo Dio.

La povertà intesa così è vitale per un cristiano, di una vitalità che, se negata solo in parte, influenza tutto.

Io vorrei che ci ponessimo in questa prospettiva e ponessimo dei punti di meditazione.

Dice sempre il salmo: “Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita”. Primo punto di riflessione: vedere se ci sono in noi delle cose che tendono a negare questa parola del Signore, se Lui è tutto per noi, o se insieme a Lui abbiamo delle altre divinità, abbiamo il culto di altre cose, abbiamo il centro in altre cose e il nostro servizio di Lui è una cosa marginale, una cosa secondaria. Vedere quindi come Lui è veramente quello che ci interessa, quello al quale tendiamo quotidianamente in ogni nostra cosa, per non fare delle nostre preghiere un continuo elenco di bugie. Forse non capiamo tante volte quello che diciamo, o siamo così distratti che non valutiamo le parole, perché la liturgia continuamente ce le mette in bocca: tu o Signore sei il solo, tu solo il santo, tu solo il grande. Noi non le pensiamo: riflettiamo su questo.

Secondo punto: “Benedico il Signore che mi dà il consiglio”. La parola di Dio come l’ascolto? Come quotidianamente la medito e la lascio cadere in fondo al mio cuore. La mondanità, lo spirito si mondanità, lo stare nella liturgia e lo stare nell’antiliturgia, lo stare cioè nella lode del Signore e voler stare in un’altra forma di esaltazione, l’esaltazione dei comodi, l’esaltazione del divertimento preso in se stesso, l’esaltazione di quello che in qualche maniera costituisce un centro fuori di Dio che diventa poi un centro contro Dio. Il non saper finalizzare che Dio vuole il nostro divertimento e vuole che noi ringraziamo dei suoi doni: bisogna vivere in pieno la vita umana perché sia di supporto alla vita divina, ma non intendere per vita umana quella che è la vita della passione, la vita dell’egoismo, la vita dell’avarizia, la vita della sensualità. Una vita di sensualità pesante che pervade il pensiero, pervade il sentimento, pervade gli atteggiamenti, una vita di sensualità che troppe volte diventa un motore che porta via, un motore che veramente ci porta verso le posizioni più sbagliate. Il riconoscere questa totalità della vita cristiana che non è semplicemente la posizione di un momento, ma ci coinvolge totalmente, radicalmente, ci coinvolge in tutte le singole e piccole cose. Non si è cristiani se non si è totalmente cristiani.

Un terzo punto di riflessione: “Io pongo sempre innanzi a me il Signore, sta alla mia destra, non posso vacillare”. Questo punto di riflessione ci richiama alle nostra facili scuse, a quelle scuse per cui diciamo “non riesco”, a quelle scuse che noi prendiamo per giustificarci e sono una distorsione di valori, o addirittura un’alienazione di valori, quando noi non comprendiamo come i valori vanno misurati secondo la parola di Dio e non secondo il criterio che possono darci altri, non secondo i criteri che la nostra fantasia o, peggio, che la nostra passione suggeriscono.

Bisogna che guardiamo le cose che contano e in quanto contano. Ma noi siamo attaccati ai piaceri e i piaceri ci condizionano in tutte le maniere, ma siamo troppo attaccati e siamo così schiavi di quello che il Signore ha riprovato. Fa’ un fascio e diventa povero! Fa’ un fascio, butta via, brucia! Fa’ un fascio: troppe cose ti appesantiscono, troppe cose ti agitano, ma contano Poi? Non vedi che ti impoveriscono nel senso reale? Non vedi che stravolgono, non vedi che rovinano? Non vedi che non sai amare col cuore libero, che non sai scegliere, che sei troppo preoccupato come se tutto dipendesse da te? Sei ansioso, sei ansioso delle volte fino alle lacrime, o sei superficiale per fuggire all’angoscia. Allora diventa un’oscillazione veramente pietosa tra la leggerezza e il senso di angoscia, perché non confidi nel Signore, perché non ti abbandoni a Lui, perché hai sperato nelle cose, hai sperato in te stesso, hai sperato nelle tue pretese qualità, hai sperato nel tuo ingegno, nel tuo saper fare e hai detto: “Non sono come gli altri” e intanto ti sei dissipato in mille cose, intanto hai fatto migliaia di compromessi col mondo, ma intanto hai diviso il tuo cuore tra Dio e ciò che non era Dio, anzi che era la negazione di Dio.

Tu hai bisogno di capire come il Signore ci viene incontro, ci vuole occupare: è Lui la nostra forza, è Lui il nostro ideale, è Lui quello che costituisce la roccia su cui posarsi. “Sta alla mia destra, non posso vacillare”. Meditate a lungo questo salmo: “Sta alla mia destra, non posso vacillare”.

Oh, il cuore di un povero, che va sereno in mezzo alle cose di questo mondo perché non è legato a niente, prende tutte le cose ringraziando Dio, prende tutte le cose che deve prendere come mezzi, ma sa d’avere con se’ il Signore e il Signore lo guida, il Signore lo sorregge!

Capite quindi lo spirito d’avvento in che cosa consiste? Capite perché andiamo verso il Natale, verso il presepio, verso il Bambino povero? “Mio Dio, tu sei il mio tutto. Mio Dio, tu mi basti”. Le acrobazie per essere dei cristiani e nello stesso tempo dei mondani, le acrobazie per essere in qualche maniera del Signore perché non ci sta a cuore una negazione così chiara ed esplicita, ma non vogliamo neanche rinunciare alle nostre pretese ricchezze. “Va’, vendi quello che hai… vieni e seguimi”: è il grande proclama dell’Avvento per capire l’Avvento, per entrare nell’atmosfera del Natale, per vivere questo mistero per cui Dio è venuto sulla terra, Dio l’infinito, Dio l’infinito bene, l’infinita ricchezza ci è venuto a visitare dopo secoli di attesa. “Egli verrà, verrà”: immaginiamoci come se lo dovevano figurare gli uomini di migliaia di generazioni. Verrà, perché se non viene, ogni giorno lo sperimentavano sempre più, non riusciamo. Verrà. E com’è venuto? Qual è la prima lezione che ha dato? E’ venuto come un povero e ha dato una lezione di povertà.

Ecco il mistero nascosto da secoli, ecco l’insegnamento fondamentale che ci dà Dio fatto uomo, la parola di Dio che ha abitato tra noi e l’insegnamento sostanzialmente è questo: liberati, liberati, liberati da tutte le cose che ti impediscono, diventa ancora sovrano com’era l’uomo nel paradiso terrestre. “Tu dominerai” sta scritto nella prima pagina del Genesi. L’uomo domina quando non si asservisce alle cose, alle sue passioni, ai suoi istinti, quando non è schiavo dei suoi istinti.

Noi ci dobbiamo confrontare con umiltà, perché il Magnificat delle anime grandi, che è il Magnificat delle anime povere, il Magnificat della Madonna è capito solo così, percorrendo la strada di una spogliazione spirituale, di una rinuncia che non è fine a se stessa, perché noi rinunciamo per avere Dio e in Dio avere tutto, per saper gioire bene senza cadere nelle passioni, per saper soffrire, per saper lottare, per saper fare del bene, perché siamo tombati nel nostro egoismo, sigillati in questo sepolcro e non riusciamo neanche a fare del bene, perché l’egoismo ci impedisce ogni sensibilità e ogni capacità di dono. Delle giovinezze che potrebbero essere delle splendide promesse sono così frustrate nella ricerca ansiosa di qualche cosa: ma non vedi che il mondo è un’illusione? Non vedi che ti promette amore e ti dà solo fango? Non vedi che ti promette libertà e ti costituisce in schiavitù? Non vedi tutta questa illusione quando è costruita contro Dio, contro il suo Cristo, contro la sua parola?

Ecco la parola dell’Avvento (ci siamo proposti di meditare per ogni tempo la parola di Dio) è una parola molto chiara: vai verso il Povero e non lo puoi abbracciare, non lo puoi capire, non lo puoi seguire se non hai il cuore di un povero, non puoi essere disponibile alla sua azione perché Lui è venuto ad evangelizzare i poveri.

La parola dunque è una parola di conversione: convertirci a uno spirito vero di povertà.

Diventa facile l’esame di coscienza, che si struttura pressappoco così: ognuno si deve mettere di fronte a Dio ripetendo le parole del nostro Salmo: “mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra”. Mettersi davanti a Dio e interrogarsi nella luce del Cristo su questo distacco dalle cose. Devo usarle e devo gioire nelle cose, perché Dio me le ha date apposta, devo gioire delle cose ma devo finalizzarle, devo intenderle come mezzi per salire a Dio, mi devo educare. Esame sull’educazione: mi devo educare per vedere le mie piccole schiavitù, soprattutto certe schiavitù che mi conducono al peccato e devo risolutamente superarle nello spirito che ci è indicato nell’Avvento dalle grandi figure dell’Avvento come Giovanni Battista. Vincere le mie piccole schiavitù, soprattutto quelle schiavitù che sono tanto diventate abituali da credere che siano connaturali. Alcuni dicono: “Sono fatto così, non posso cambiare” e non viene neanche loro in mente, se uno non glielo indica, che le devono lasciare. Tagliare con i compromessi: ne hai dei compromessi? Con che passo vuoi camminare verso il Signore? Più vuoi camminare in fretta e più liberati dai pesi. Se uno deve andare in salita (e la vita dev’essere salita, non può essere discesa) più è senza pesi e più cammina, altrimenti s’accascia sotto i pesi. Come ho camminato fino ad adesso? L’inizio di questo anno liturgico ci ha detto di camminare nella luce. Di che cosa devo far senza? In che cosa devo porre l’accento in una chiara indicazione?

A volte ho osservato quando i muratori costruiscono un muro: danno dei bei colpi netti, se un mattone è troppo lungo con un colpo netto tolgono quello che c’era in più e non si mettono a dire: “Devo prendere via questo spigolo e lo faccio poco alla volta” e si mettono a lisciarlo, danno dei piccoli colpetti… No, danno un bel colpo netto. Molte volte tutta la vita spirituale sta in un bel colpo netto: da’ il colpo! Hai qualcosa da prendere via? Dai il colpo, fai saltare tutto lo spigolo! Devi fare entrare il chiodo nel muro? Non stare lì a dare dei piccoli colpettini, perché ne puoi dare anche migliaia, ma il chiodo non entra dentro: dai un bel colpo netto, deciso, forte e allora il chiodo entra.

Qual è il tuo spigolo? Qual è il tuo chiodo?

L’esame di coscienza è molto evidente. Certe anime stagnano nella mediocrità e la loro vita è pesantemente un cammino da asmatico, un passo più forte e sono già ferme e dicono: “Non ne posso più, mi devo sedere”. Una vita spirituale fatta così di qualche tentativo che rientra subito.

L’Avvento è la strada che ci conduce veramente alla liberazione. E allora c’è l’esultanza. Potete prendere il salmo che dice: “Quando ritornarono i prigionieri di Sion”: ecco la gioia.

Fatto questo esame di coscienza che cercheremo di approfondire ci sono le conclusioni: tu sei la mia ricchezza, tu sei il mio tutto. “Proteggimi o Dio: in te mi rifugio. Ho detto a Dio: sei tu il mio Signore”. Oh, finalmente essere sereni, finalmente aver buttato via tutto il peso dei nostri peccati e le conseguenze pesanti dei nostri peccati.

Ecco la liberazione annunciata dall’Avvento, ecco lo spirito sostanziale dell’Avvento.

Ma vorrei dire un’ultima cosa. Non fate una conclusione superficiale e rapida. La luce di Dio entra in noi quando noi siamo veramente perseveranti. Riflettete a lungo, pregate molto oggi. Avete dato questa giornata al Signore e datela con completezza: pregate, non dissipatevi, pregate, non interessi nulla di quello che avviene attorno a voi e pregate, insistete perché il Signore vi faccia capire che cosa dovete fare per avere un cuore vero di povero, che cosa dovete fare per costruire un proposito che sia veramente tradotto, realizzato, assolutamente completo.

E’ così che allora sentirete già venire, già bussare, quello che lo spirito d’Avvento suggerisce: viene il Signore, rallegratevi

II MEDITAZIONE

Sal 51

Perché ti vanti del male

o prepotente nella tua iniquità?

Ordisci insidie ogni giorno;

la tua lingua è come lama affilata,

artefice di inganni.

Tu preferisci il male al bene,

la menzogna al parlare sincero.

Ami ogni parola di rovina,

o lingua di impostura.

Perciò Dio ti demolirà per sempre,

ti spezzerà e ti strapperà dalla tenda

e ti sradicherà dalla terra dei viventi.

Vedendo, i giusti saran presi da timore

e di lui rideranno:

“Ecco l’uomo che non ha posto in Dio la sua difesa,

ma confidava nella sua grande ricchezza

e si faceva forte dei suoi crimini”.

Io invece come olivo verdeggiante

nella casa di Dio.

Mi abbandono alla fedeltà di Dio

ora e per sempre.

Voglio renderti grazie in eterno

per quanto hai operato;

spero nel tuo nome, perché è buono,

davanti ai tuoi fedeli.

Ci porta a una riflessione cruciale.

In fondo la storia è così: chi va contro la parola di Dio si infrange, dice ancora la Scrittura, come un vaso d’argilla buttato per terra. Chi va secondo la parola di Dio si realizza a livello di popolo e a livello di individuo.

E’ in conformità con la parola di Dio la riuscita, è in conformità alla parola di Dio quella che è la tua costruzione. Un altro Salmo dice: “se il Signore non avesse costruito la casa invano lavorano coloro che vogliono costruirla”. Non si riesce, la vita diventa una autentica desolazione. E si possono ripetere le lamentazioni dei profeti su queste rovine che si moltiplicano.

Quando noi, che siamo anziani, parliamo a voi giovani ci viene spontaneo dirvi: “Guardate che tutto è vanità”. Vanità delle vanità e tutto è vanità, fuorché amare Dio e servire a Lui solo. Se vuoi farti una personalità, se vuoi vivere una vita piena, se vuoi essere felice di una gioia sincera e onesta, datti a Dio, datti completamente a Dio. Allora sarai come un olivo verdeggiante nella casa di Dio.

Ma mi chiederete: come ci si fa questo cuore di povero, questa vita di fede intensa, questo abbandono totale all’opera di Dio? Come si fa?

Ecco, la risposta dev’essere articolata. Vorrei in questa meditazione fermarmi solo su un punto. Vi chiedo: vuoi essere veramente così? Fatti una preghiera da povero, cioè da’ un senso vero, autentico, genuino alla tua preghiera. Perché ci sono delle preghiere da buttare, ci sono delle preghiere che non valgono, ci sono delle preghiere che non risolvono, ci sono delle cosiddette preghiere che non realizzano, ci sono delle preghiere, per dirlo ancora una volta con S. Agostino, che sono migliori gli abbaiare dei cani che certe preghiere.

Vi dico: la riforma sostanziale di una vita viene dalla preghiera. Di solito quando si dice che la tua vita è preghiera, che la tua vita dev’essere sostanziata di preghiera, citiamo le parole di Gesù (Lc 18): “Dovete pregare incessantemente e non venire meno”. Quando si ascoltano queste parole si dice: “Ma come faccio a pregare sempre? Non ho tempo”, oppure si dice: “E’ presto detto pregare, ma che cosa dico? Finisco presto e dopo non so davvero cosa dire al mio Dio”.

Voi sapete come si risponde a queste due sostanziali obiezioni alla preghiera, voi sapete come sono bugiarde queste cose, quando la preghiera è concepita come offerta, perché è offerta. Se vuoi che la tua vita sia preghiera offri la tua vita, vivi nella fede.

C’è una sostanziale posizione sbagliata: si pensa alla preghiera come a una serie di formule, o almeno a una serie di forme che vengono poste e che richiedono tempo.

La tua vita dev’essere una vita piena e per questo dev’essere una vita di preghiera e tanto più è piena tanto più è preghiera. Sarebbe come se uno dicesse: “Ho tante cose da decidere e allora non decido niente”: ma proprio perché hai molto da fare hai molto da pregare.

La preghiera del povero è una preghiera d’offerta, una preghiera che parte da un’idea quanto più giusta di Dio. Signore, tu mi vedi e mi ascolti, tu mi scruti e mi segui: il Signore è infinitamente potente e il Signore infinitamente ci ama e la sua potenza è a servizio (se così possiamo parlare) della sua bontà.

Allora la nostra vita che è dono suo, diventa ringraziamento e diventando ringraziamento diventa oblazione, proprio perché riconosciamo che da Dio viene tutto, che la sua Provvidenza è infinita, che in Gesù abbiamo riconosciuto il Dio infinito che si è fatto uno di noi ed è diventato nostro amico.

L’Avvento ha come finalità questo farci riconoscere Dio nella veste di un bambino. Dirà l’inno di Natale: vagisce nella culla Colui per il quale ha vita tutto l’universo. Come possiamo riconoscerlo così come nostro amico, partecipe della nostra sofferenza umana, del nostro travaglio umano, della nostra insicurezza umana, se non in questo spirito, se non vedendo in Lui quello che è appoggio continuo alla nostra debolezza e che dà un senso a tutto il nostro operare? A tutto dà senso, per cui non gli è ignota assolutamente alcuna cosa, né il gemito nascosto di una povera anima tribolata, né il pianto di un bambino, né le nostre lacrime di delusione. Niente gli è ignoto: Egli si è fatto nostro, s’è fatto uno di noi, ma si è fatto uno di noi una volta per restarci sempre. E’ vicino a ognuno di noi e per questo è risorto, perché la sua morte fosse gioia, fosse ricupero ad ogni nostra mancanza, ad ogni nostro fallo. Nemmeno il peccato diventa allora un ostacolo, nemmeno il peccato. Il peccato pianto e detestato diventa scala di redenzione.

Tutto è grazia, tutto è salita, tutto è gradino di salita, tutta quella che è disposizione della sua Provvidenza può essere mezzo di elevazione e perciò di preghiera.

Ecco allora la preghiera del povero è riconoscere questo amore, questo amore consolazione, appoggio, continua nostra sussistenza.

Abbiamo visto qual è il ricco condannato dalla Bibbia: colui che confida in se’, colui che confida nelle sue cose, nella sua roba, nella sua potenza, colui che si crede autonomo ed è solo uno che s’inganna. Per questo il Signore ha detto che è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri in Paradiso, per questo ha detto: “Guai a voi o ricchi perché siete sazi: domani sarete nell’indigenza”, per questo la Madonna ha fatto il Magnificat, il cantico dei poveri e ha detto che “ha riempito di beni gli affamati e ha rimandato a mani vuote i ricchi”.

Quindi la tua preghiera dev’essere offerta, riconoscenza, amore.

Non è questione di tempo: tutto trasforma in preghiera, tutto quello che fai e quello che non fai, quello che speri e quello che sospiri, quello che in qualche maniera forma adesso la tua gioia o il tuo cruccio: tutta trasforma in preghiera, tu lo puoi, Lui ti aiuta, Lui ti è vicino.

Quando S. Paolo proclamava la sua grande gioia, voi ricordate, l’ha proclamata spesso questa proclamazione di gioia: “Nient’altro io mi glorio se non nella croce del Signore nostro Gesù Cristo… Chi mi potrà separare dalla carità di Cristo? Forse la persecuzione, la fame, la nudità, la solitudine…”, niente mi potrà separare: tutto è preghiera, tutto è elevazione, tutto è amore, ma se tu lo vuoi!

A questa preghiera offerta, a questa preghiera oblazione, a questo spirito di fede tu devi giungere, devi giungere tagliando, potando, ponendoti in una posizione precisa di sottomissione alla volontà di Dio, ponendoti in una posizione precisa di collaborazione alla volontà di Dio, ponendoti in un superamento delle tue false speranze, dei tuoi falsi desideri. Il Signore è alla tua destra.

Il discorso, naturalmente, da generale deve diventare particolare, perché ogni anima ha i suoi impedimenti a questa preghiera.

Molto spesso manca la fede: c’è una fede languida, una fede di riporto e come tutti i terreni di riporto non valgono per una costruzione; Gesù direbbe che è la costruzione fatta sulla sabbia. Molte volte manca la fede.

Molte volte manca una adesione sincera e totale. Se tu stai ancora combattendo col peccato mortale, se tu stai ancora combattendo con le occasioni di peccato grave, se tu stai ancora dibattendoti in cose così primordiali non puoi capire questo linguaggio: sbarazzati di quelle cose, perché sono i veri ostacoli. Dio ti ha chiamato ad essere suo figlio e torna la grande idea: tu puoi offrire, tu sei accetto nella tua offerta perché Dio nella sua misericordia, per la morte di Gesù, ti ha fatto suo figlio. Sei veramente figlio, quindi, continua S. Paolo, ti hai accesso davanti al trono di Dio: il tuo Dio non è lontano, non devi fare molta strada, perché il tuo Dio è tuo Padre. Gesù ha detto: “Se uno mi ama, il Padre ed Io verremo da lui e faremo dimora presso di lui”. La soavità di essere la tenda di Dio. “Il Verbo si è fatto carne e abitò tra noi”: la parola greca che è tradotta “abitò tra noi” significa “Egli pose la sua tenda in mezzo a noi”. Ha posto la sua tenda, una tenda aperta ad ognuno di noi, una tenda spalancata dove tu trovi il tuo Dio che è tuo Padre e che ti pone, direbbe l’Apocalisse, a tavola con Lui: “Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20). L’espressione è molto significativa: è l’espressione che denota come Dio diventa nostro famigliare, nostro commensale. Infatti la preghiera si alimenta all’Eucarestia, la preghiera si snoda come sacro convito: Dio è a tavola con noi.

Quindi bisogna imparare radicalmente questa preghiera offerta, questa preghiera donazione, questa preghiera ringraziamento, questa preghiera famigliarità.

Il grande miracolo che dovremmo sentire trasalendo ogni volta: Dio mi chiama suo figlio e lo sono realmente. La mia preghiera è accolta, la mia preghiera risuona soave agli occhi del mio Signore.

“Voglio renderti grazie in eterno per quanto hai operato; spero nel tuo nome, perché è buono, davanti ai tuoi fedeli.” (Sal 51).

La seconda obiezione diceva: “non so cosa dire”.

La preghiera invece non è dir su. Lo meditavamo già: vi ritorno con insistenza perché su certe idee credo sia conveniente martellare.

La preghiera, in quest’anno della Parola per noi dev’essere particolarmente conquista, è accogliere, la preghiera è aspettare, la preghiera è ascoltare. Non sa cosa farsene il buon Dio dei tuoi discorsi e non guarda se il discorso è sostenuto da una buona sintassi e da una corretta grammatica, non devi fare nessuna bella figura davanti al buon Dio che ti conosce fino in fondo, che sa tutto. Gesù ha detto: “Il vostro parlare non sia come quello dei pagani; i pagani credono d’essere ascoltati col molto dire. Ma il Padre vostro sa già quello di cui avete bisogno”.

Ecco allora la preghiera è sostanzialmente e prima di tutto accogliere, è un’accoglienza. Ecco perché dev’essere povera l’anima: deve avere il posto per accogliere. Se tu sei ingombro, anche in tutti gli angolini, assomigli a certe camere in cui si butta tutto e diventano strapiene. Ci sono delle anime che somigliano proprio a dei ghetti in cui si butta tutto, si butta lì perché in fondo è roba da buttare, roba secondaria, roba che per il momento non serve.

Bisogna che tu faccia spazio. Ci sono delle persone che ascoltano solo se stesse, sono davanti al buon Dio ma ascoltano se stesse, si occupano di se stesse, si preoccupano di se stesse, si agitano, s’inquietano, si contraddicono con i desideri più assurdi, con le velleità più fantastiche e non combinano nulla.

Fa’ spazio per accoglierlo bene, Egli vuole venire in casa tua, vuol venire da te. L’accoglienza non è forse il primo riguardo per un ospite? L’accoglienza non è forse il primo segno d’amore? Spalancati, spalanca tutta la porta, lascia entrare.

“Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo” (At 2, 2-4).

La preghiera del povero è preghiera di colui che fa accoglienza perché sa che da Dio viene tutto.

Poi la preghiera è aspettare, aspettare da Lui, confidare totalmente nella sua bontà, sapere che Lui non viene per prendere, ma per dare.

Quelli che hanno paura del ladro sono quelli che possiedono. Nel Vangelo di questa mattina il Signore ha svolto con una specie di ironia questo concetto: Lui diventa come un ladro per quelli che hanno la compiacenza nelle loro false ricchezze. Allora sì che scassina, che rompe.

Ma la preghiera del povero è la preghiera che dice: “Signore, io non voglio niente se non quello che è eterno. Signore, non voglio niente se non quello che tu mi vuoi mettere. Signore, se ho delle cose, purtroppo sono cose cattive: portale via, o trasformale col miracolo della tua grazia”. E’ qui l’attesa: l’attesa del malato che aspetta il medico, l’attesa del debole che aspetta il soccorso, l’attesa di colui che non ha nessun sostegno se non nella misericordia, perché sa d’aver fatto troppi peccati, perché sa che ha fatto dei peccati e ha trovato misericordia e invece di non peccare più è tornato a fare dei peccati e ha trovato ancora misericordia, che la propria vita è stata una penosa altalena di peccati e di ricadute, di peccati che hanno ottenuto il perdono e peccati che si sono stupidamente ripetuti e abbiamo detto a Dio che era il nostro tutto e poi, per la prima vomitevole cosa l’abbiamo buttato via. Abbiamo detto a Dio che era la nostra luce e siamo andati a cercare qualche cosa di veramente vergognoso nelle tenebre, abbiamo preferito al Dio di ogni maestà un piacere obbrobrioso. E’ così!

Allora cosa deve fare uno? Qual è la preghiera di un povero? “Io aspetto, Signore, aspetto, aspetto da te la conversione vera, aspetto da te la forza autentica, aspetto da te che tu trasformi questa mia povera esistenza in qualcosa che vale, in qualche cosa di solido, perché le cose mi hanno occupato. Ho creduto d’essere furbo e di potermi arrangiare e poi d’avere anche la vita eterna. Ho creduto che le cose della terra prese contro di te mi bastassero e ho constatato una volta, due volte, cento volte che erano tutte stupidate e ci sono ricaduto. Signore, io aspetto da te.”

La preghiera è accoglienza e attesa, la preghiera è ascolto: “Ascolterò quello che mi dice il Signore mio Dio”. Il Signore ci visita con la sua parola, “è colui che rende saldo il povero”. La sua parola l’abbiamo nella Bibbia, per cui la preghiera ascolto è evidentemente la preghiera biblica per eccellenza. La preghiera ascolto è la preghiera con la quale noi siamo guidati da Lui, perché la Bibbia l’ha fatta scrivere allo Spirito Santo per noi, perché fosse la nostra luce e la nostra preghiera.

Ecco allora la preghiera ascolto. Per quelli che hanno fatto gli Esercizi sono passati, grosso modo, due o tre mesi: c’è già una riflessione abbastanza approfondita, cioè negli Esercizi abbiamo tanto insistito sulla parola di Dio. Ora, possono vedere il progresso reale fatto nella preghiera, oppure, in questa dannata ipotesi che non si sia fatto progresso, cos’è che ha ostacolato.

La preghiera ascolto è la preghiera, dicevamo, che nutre, la preghiera che dà gioia, la preghiera che dà veramente soavità, ma com’è stata la preghiera nelle sue varie forme? La preghiera nell’Eucarestia, la preghiera nella meditazione, la preghiera nei vari momenti della giornata, particolarmente la preghiera dei salmi, come sono state?

Guardate che la preghiera ascolto è la preghiera del povero perché accetta quello che l’ospite divino dice: il Signore viene a te e ti parla. Tutta la tua anima deve stare in ascolto: il silenzio, il tempo d’Avvento è tempo di silenzio. Il tempo d’Avvento ancora è tempo di speranza: la parola è per noi la promessa. Il tempo d’Avvento è tempo di particolare fortezza: la parola di Dio si ascolta con lo sforzo di dominare noi stessi. Fa’ tacere le troppe voci che gridano. Alle volte sono voci che sembrerebbero necessarie, come il nostro studio, il nostro lavoro: non è che non dobbiamo studiare e lavorare, ma troppe volte non è la voce del dovere, ma il clamore della preoccupazione. Altre voci sono ben più dannose e più false: le voci delle tue passioni, la voce del tuo orgoglio, le voci che risuonano attorno a te e tu le ascolti, diventi oscillante. Mi viene in mente un brano della passione di Gesù in cui si dice: “abbandonatolo fuggirono”: troppe volte la vigliaccheria degli apostoli, la vigliaccheria di quella notte di iniquità, risuona nella nostra vita. Troppe volte noi non arriviamo alla preghiera del povero, alla preghiera d’ascolto perché lo lasciamo per altre cose, siamo pavidi, abbiamo paura di affrontare le difficoltà, abbiamo paura di essere sorpresi e trascinati con Gesù. Gli apostoli fuggirono perché avevano paura anche loro di essere legati e portati davanti al tribunale e hanno preferito scappare: guardateli a uno a uno che se ne vanno nella notte mentre Gesù era nelle mani dei suoi nemici. Che non succeda così di noi: lasciatolo fuggirono…

III MEDITAZIONE

La conclusione di un ritiro spirituale dev’essere necessariamente una conclusione di estrema concretezza, perché altrimenti ci si assume maggiore responsabilità: una parola ascoltata e non fatta. Questo è segnato come una sventura: il Signore ha parlato di un fallimento di coloro che ascoltano la parola e non la mettono in pratica.

Io vi consiglio di essere perciò ben specifici, ben concreti, di attuare un piano dell’Avvento, un programma di Avvento, che inizi un lavoro spirituale su questo farsi un cuore di povero. Farsi vuol dire mettere mano all’opera. Quando imperversa un temporale serve di più una baracca che ci ripari dall’acqua di quanto non possa servire un manuale d’architettura, perché il manuale d’architettura in quel momento non serve proprio a niente: scendiamo quindi ben in concreto. Farsi un animo da povero vuol dire cominciare a distaccarci dalle cose, volere nelle cose il necessario e non il superfluo, staccarci da tanti capricci che ci impediscono una via chiara. E giornate sono troppo spesso segnate da voglie o da capricci, da smanie o da egoismi evidenti.

Poniamo delle esemplificazioni. Non brontolare, non lamentarsi, non brontolare per le cose che non ci sono, lamentarsi delle cose fastidiose che ci sono, imparare che è meglio dare che ricevere, impiegare la giornata nel fare per gli altri tutto quello che ci è possibile, nel fare agli altri tutto ciò che agli altri è gradito, nel fare tutte quelle cose che costano a noi ma sono un compiere un piacere. Cerchiamo d’essere quindi saggiamente altruisti, di quell’altruismo che non è calcolo, che non è compassione, che non è senso largo di condiscendenza ma è autentica carità di Cristo. Abituarci nella giornata quindi a un ideale ben specifico: far senza, far di tante cose senza, impegnarci perché la carità sia lo spessore della nostra gioia. Noi spesso, quando sogniamo, sogniamo di ricevere: cominciamo a sognare di dare! Noi spesso confondiamo la nostra voglia di cose nuove, di cose diverse con quella che è la voglia di cose utili, di cose giuste, di cose che sono nella volontà di Dio.

Ascoltare la parola è abituarsi a fare la volontà di Dio. Non dobbiamo fare delle grandi cose per diventare dei veri santi: per noi diventare dei veri santi, cioè dei cristiani autentici, è fare tutti i giorni quello che dobbiamo fare, senza aspettare gli applausi, senza aspettare che ci sia chi ci applaude, chi ci consola, chi ci comprende. Fare la volontà di Dio: la santità sta tutta qua, nel fare bene, fare sempre la santa e adorabile volontà di Dio.

Per cui ognuno di voi si deve chiedere chi è mi esprime la volontà di Dio? La vostra ricerca della parola di Dio, la vostra umiltà di servizio nella Chiesa, la vostra disponibilità alle cose che capitano all’improvviso, bisogna a tutti i costi porci in questa disponibilità creaturale: Signore fa in noi, compi in noi la tua creazione, noi siamo a tua disposizione. E’ la disposizione obbedienziale.

Lascia Signore che la nostra volontà sia forgiata dalla tua, che noi non cerchiamo di farti fare, di costringerti (se lo potessimo, vero?) a fare la nostra volontà. Non cercare quello che piace a noi, ma cercare quello che piace a Lui.

Allora il programma dell’Avvento lo dividerei in tre punti.

1. Un programma di deserto, di preghiera. Che cosa fare in questo tempo per fare vero deserto in noi e attorno a noi. Cosa fare. Vedrete quali preghiere migliorare, vedrete quali aspetti delle preghiere sottolineare, soprattutto nel senso dell’attesa cui accennavamo. Per esempio potete prendere un salmo, due salmi, e pregare così guidati dallo Spirito Santo. Una preghiera distaccata, una preghiera apertura schietta e viva al Signore.

2. Un programma di penitenza. Siamo rivestiti di viola, questa mattina la liturgia ha lasciato il Gloria a Dio nell’alto dei cieli, ha detto un alleluia, ma un alleluia nel viola, per cui un maggiore dominio di noi stessi. Vedere le cose che devo lasciare, le stupidaggini che mi fanno spendere dei soldi mentre i poveri aspettano. Abituarsi a un certo grado si austerità e di sobrietà, togliere certe cose che non ti aiutano, anzi che ti sono d’impaccio. Quindi un programma di penitenza che potrete attuare sia su iniziativa individuale, sia, se vi accordate, su iniziativa di gruppo. Ho visto con piacere che qualche gruppo se l’è già proposta: sono i gruppi avanguardia. E’ una forma di austerità collettiva.

3. Amare i poveri, i poveri reali, i poveri di beni, perché dobbiamo vedere in essi il Signore, perché si è identificato soprattutto con chi è povero. Quindi un programma di comprensione e di aiuto ai poveri: quel superfluo che togliamo a noi darlo ai poveri. Il Natale sotto l’insegna della bontà è diventato anche laico, ma c’è un profondo significato nel Natale bontà: è proprio questo significato dell’identificazione nel povero di Cristo. Cristo si è fatto povero per noi perché noi fossimo ricchi della sua ricchezza divina. Quindi se Gesù ha prediletto i poveri anche noi dobbiamo prediligerli: prediligere quelli che soffrono nell’indigenza economica. Quindi da una povertà, come abbiamo meditato, di confidenza nel Signore scendere in concreto ai poveri che economicamente sono tali e che perciò vanno giustamente ad aspettarsi la nostra solidarietà.

Spero che sia un Avvento forte e sfolgorante, che cresciate nella grazia di Dio.

CODICE 77MSR093
LUOGO E DATA 27/11/1977
OCCASIONE Ritiro spirituale Avvento
DESTINATARIO Gruppo giovani
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI La povertà / La preghiera del povero / Il programma
Condividi su
MOVIMENTO FAMILIARIS CONSORTIO
Via Franchetti, 2
42020 Borzano
Reggio Emilia
Tel: + 39 347 3272616
Email: info@familiarisconsortio.org
Website: familiarisconsortio.org
  • “È evidente come Don Pietro abbia vissuto il suo sacerdozio
    tra la vita delle persone, condividendo tutto. 
    In fondo, forse, è il segreto più prezioso che ci ha svelato.”
    Umberto Roversi

© 2022 Movimento Familiaris Consortio | Via Franchetti, 2 42020 Borzano (RE) | info@familiarisconsortio.org |Privacy Policy | COOKIE POLICY | SITEMAPCREDITS