04/01/1976 - Omelia II Domenica Natale ore 6.30 e ore 8.15

Sant'Ilario d'Enza, 04/01/1976
Omelia, II Domenica Tempo Natale – Messa ore 6, 30 e 8,30

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Sir 24, 1-4. 8-12; Ef 1, 3-6. 15-18; Gv 1, 1-18

OMELIA ORE 6, 30

L’invito della Liturgia oggi è proprio qui, è cercare di vedere un po’ di più la sua gloria, gloria di lui, che è “l’unigenito del Padre, che è pieno di grazia e di verità” (cfr. Gv 1, 14).

Andiamo verso l’Epifania, la manifestazione. Guardare di più la gloria che cosa vuol dire, se non penetrare di più nel mistero, quel mistero per il quale diciamo: Dio è venuto tra noi, Dio è diventato uno di noi? La chiamiamo, questa gloria, l’Unione Ipostatica, l’Incarnazione.

Guardando al mistero diciamo: Dio si è fatto uomo, in Gesù vi è una natura divina e una natura umana unite strettamente nella persona del Verbo. E’ la persona della Santissima Trinità, dunque la persona di Gesù Cristo è proprio Dio.

Vedere la gloria vuol dire vedere l’amore di Dio, perché solo nell’amore, solo per l’amore, solo nella pienezza di questo dono è possibile che noi apprendiamo come Dio ha assunto la nostra miseria. Non è una piccola cosa dire: Dio ha separato la distanza infinita, Dio è diventato un nostro bambino. Non è piccola cosa dire: Dio ha cercato i peccatori, facendosi lui un uomo, rivestendo questa carne nostra, che per noi è carne di peccato.

Ecco, Dio ha assunto su di sé tutti i nostri peccati, è l’amore che non si può spiegare che con l’amore, è l’amore infinito di Dio che ci ha posto così in una posizione veramente mirabile. Perché si è fatto uomo? Perché noi diventiamo Dio. Si è fatto uomo perché noi copiamo da Dio, si è fatto uomo perché noi riproduciamo nella nostra vita i suoi lineamenti. Si è fatto nostro, perché noi possiamo così giorno per giorno avere davanti la strada da percorrere, per andare fino all’eternità della gloria.

Guardare Gesù allora, guardare Gesù con lo stupore più grande, con il cuore più aperto, con la generosità più grande. Guardare Gesù, perché lui è tutto, perché lui è la misericordia stessa che è apparsa a noi, è l’amore stesso che è venuto ad abitare in mezzo al nostro odio, per insegnarci come si deve guardare in alto al Padre che è Padre di tutti, come si deve guardare agli uomini, riconoscendo nei singoli uomini l’immagine di lui, di Gesù.

Perciò la nostra vita spirituale deve arricchirsi straordinariamente in queste Liturgie; la nostra anima si deve arricchire comprendendo sempre di più la rivelazione, cercando di unirci sempre di più allo spirito dell’Incarnazione, che è spirito di amore, che è spirito di dono. Del tragico è proprio qui, che “venne, ma i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1, 11). “Venne”, continua a venire, continua a dare, continua a comunicare. “Venne”, è venuto, per la gente di ieri, per la gente di oggi, per noi.

Ecco il mistero, il mistero dell’amore di Dio in contrapposizione all’altro mistero: “i suoi non l’hanno accolto”.

Ecco, dobbiamo guardare quanto noi abbiamo accolto quest’amore, quanto intendiamo ancora accoglierlo, quanto vogliamo tradurlo in tutta la nostra esistenza. “Venne”, ecco, che corrisponda questa parola, che corrisponda all’altra parola: “Andarono”, come i pastori. “Venne”, noi andammo, noi siamo andati ad adorarlo, a riconoscerlo, ad amarlo; siamo andati non con le nostre parole, siamo andati con tutta la nostra vita, con tutta la nostra generosità, con tutto il nostro sì. E il nostro sì alla volontà di Dio è il nostro sì a questo amore che supera ogni sentimento.

Ecco, ripetiamo il nostro sì di vita cristiana integrale e piena, di vita cristiana grande, il sì a Dio tradotto così nel bene di ogni giorno.

OMELIA ORE 8, 30

La sintesi della Liturgia di oggi potremmo formularla con le parole del catechismo: Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo.

Nella prima Lettura vi è il brano dove “la sapienza loda se stessa”, cioè è la sapienza di Dio come personificata, che agisce nel mondo e fissa la tenda in Giacobbe e prende in eredità Israele. Cioè è la provvidenza di Dio che sceglie il popolo dell’Antico Testamento, per farne il preannuncio del Nuovo.

La sapienza di Dio, che sceglie, prefigura la sapienza di Dio che si è fatta uomo. Dirà san Paolo: “Egli è la sapienza” (1 Cor 1, 24).

Nella seconda Lettura abbiamo la preghiera - annuncio, che Paolo fa agli Efesini, l’annuncio della scelta che Dio ha fatto di noi: “Prima della creazione del mondo ci ha scelti per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo” (Ef 1, 4).

E nel Prologo di san Giovanni vediamo disegnato tutto il piano di Dio, quel piano per il quale “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1, 14).

Gesù è vero Dio. Gesù allora è Dio, che unisce a sé in una maniera unica e meravigliosa la natura umana, è Dio che non più si accontenta di mandare i profeti, di mandare il suo annuncio, egli stesso viene e viene per non ritornare più indietro, viene per abitare in mezzo agli uomini.

Il fatto dell’Incarnazione è un fatto perenne e noi anche ora e domani, sempre possiamo dire: Dio si è fatto uno di noi per salvarci, per darci la dignità di figli di Dio, perché la nostra vita sia tanto grande, perché la nostra vita sia tanto feconda.

E Gesù è vero uomo. Dice il Battista: “Ecco l’uomo, di cui io dissi” (Gv 1, 15). “Ecco l’uomo”. Lo dirà anche Pilato: “Ecco l’uomo” (Gv 19, 5). L’umanità di Cristo, quell’umanità per la quale lo sentiamo fratello, lo sentiamo che ha diviso con noi tutte le nostre miserie. Anche lui ha conosciuto il fuggire del tempo, anche lui che è eterno. Anche lui ha sentito la sofferenza, lui che è l’eterna beatitudine. Anche lui ha sentito l’amarezza, ha sentito la disillusione. Anche lui ha sentito la sofferenza del servire e di non essere capito. Anche lui, giorno per giorno, ha voluto condividere tutta la nostra sorte, ha voluto condividere anche la morte, è morto. Quando lo contempliamo sulla croce, sentiamo sempre di più come ci ha amati. Ha voluto tutto, perché potesse così comprenderci fino in fondo di esperienza, lui, uomo con gli uomini.

Ecco allora che oggi siamo chiamati a vedere bene le nostre relazioni con Gesù; non dobbiamo relazionare solo con lui Dio, non dobbiamo relazionare solo con lui uomo. Tante volte, nella storia del cristianesimo, gli errori sono venuti proprio di qui: alcuni hanno visto quasi unicamente in Gesù Dio e hanno fatto un “verticalismo”, altri hanno veduto solo in lui l’uomo e hanno fatto un “orizzontalismo”. No, Gesù è Dio e uomo e la pienezza della redenzione avviene così, in questa unione strettissima tra la divinità e l’umanità.

E’ così che ancora ognuno di noi deve sentire e deve vivere il mistero di Gesù. Dobbiamo immergerci nel suo mistero divino, ma ancora dobbiamo sentire fino in fondo la sua realtà di uomo, il suo cuore e la sua opera di uomo.

Tante volte nella vita spirituale vi sono delle storture e nascono proprio da un’imprecisa relazione. Lo dobbiamo sentire Dio e deve avere tutta la nostra adorazione, tutta la nostra obbedienza; lo dobbiamo sentire come uomo e dobbiamo raccogliere tutta la sua comprensione, tutto il suo amore, tutta la concretezza della sua redenzione.

E allora è proprio così che nasce la nostra imitazione di lui. Dobbiamo essere profondamente ricchi di fede, dobbiamo essere cristiani fino in fondo, ma il nostro cristianesimo non ci deve fare dimenticare l’umanità, i valori dell’umanità. Cristiani uomini, uomini che vivono la loro vita, che vivono i valori dati a loro da Dio, che li vivono con gli altri uomini, che li condividono con gli altri uomini, che desiderano il bene umano per tutti e, nello stesso tempo, che non si fermano qui, ma che vogliono realizzare la pienezza della loro fede, della loro unione con il Signore, ma che sentono vivo e forte il bisogno di comunicare agli altri uomini le ricchezze insondabili di Cristo.

Ecco, equilibrarci. Ecco una vera revisione di vita: come sento io Gesù? Come lo vivo? Come cerco di tradurlo ogni giorno? In fondo, dice san Paolo, che la Chiesa non è che Cristo diffuso, Cristo sparso, il Cristo cioè che ognuno di noi deve realizzare in se stesso. La Chiesa è una continuazione del Cristo ma, proprio perché è continuazione del Cristo, deve nella sua santità riflettere la santità del Signore e deve realizzarsi in pieno, così, in questo mondo di uomini, in questi problemi degli uomini.

Voglia il Signore sempre di più illuminare la sua Chiesa, perché tutti possano veramente realizzarsi in conformità a quel piano divino, per cui Egli è venuto per essere la luce e perché tutti credessero per mezzo di lui.

CODICE 76A3O01321N
LUOGO E DATA Sant'Ilario d'Enza, 04/01/1976
OCCASIONE Omelia, II Domenica Tempo Natale – Messa ore 6, 30 e 8,30
DESTINATARIO Comunità parrocchiale
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Unione ipostatica
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